venerdì 17 dicembre 2010

Via della pace - le postazioni degli Austriaci sul fronte dell'Alpe di Fanes

Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. (Lc 8. 16-18)



Sono sopra al Monte Castello. Guardo da qui verso le Tofane e non posso fare a meno di pensare a quanto siamo piccoli di fronte alla Natura (non solo gli islandesi lo sono). Penso che se sono arrivato fin qui, sputando fiato ed energia, ci dovrà pur essere un motivo. Per forza non viene nulla, neanche l’aceto. Ma oggi, salendo nella nebbia, ho visto la luce quassù. Era una luce chiara, non troppo forte, ma nitida, pulita, come solo in certe giornate d’autunno possono esserci. Forse era un segno del destino, forse no. Però voglio credere, di essere stato chiamato a qualcosa di più che una semplice escursione; ad un percorso di purificazione, di rinnovamento. Forse sei stato tu, Babbo, a guidare i miei passi. Così come quando, di fronte alle scalette verticali del tratto attrezzato, non me la sono sentita di salirci sopra, senza imbracatura. Ed abbiamo deviato sul ghiaione. Alla fine, sul sentiero che ci riportava verso la Capanna Alpina, il termometro segnava 3 °C, ma non sembrava freddo. Il sole cedeva i suoi ultimi raggi alle pareti di granito sopra di noi, schermi rosati che riflettevano il suo calore.

foto su http://www.flickr.com/photos/bekberg/

mercoledì 8 settembre 2010

Primo grado: Cristallino di Misurina

Fa freddo quassù in cima: dopo la neve, che ci ha colto all’improvviso mentre ci stavamo arrampicando su quei grossi sassi bianchi e grigi che fanno da giganteschi scalini per la vetta e che, per fortuna, se n’è andata presto, il vento ci preannuncia, con una grossa nube nera, la prossima variazione termica. Il termometro segna + 7 °C. Sembra di essere sul tetto di un enorme casamento con vista sulla valle di Landro col suo lago e sui monti intorno, soprattutto la Croda Rossa in tutto il suo sanguigno fulgore. Una piccola croce di legno ed un’altrettanto minima statua della Madonna testimoniano la dimensione religiosa delle cime importanti.
Primo grado (I), EEA, A, F+, etc.etc. sono le sigle che contraddistinguono questa ascesa: fin tanto che non la si fa, non si tocca con mano quello che vuol dire. Subito all’inizio della salita, devo aggrapparmi ad una rientranza che fa da appiglio per tirarmi su e superare un grosso masso. Dopo si sale senza soste: qualche ometto in più non avrebbe guastato: sono stato costretto a fare un paio di “zompi” per niente simpatici per riprendere il filo della traccia (meglio quella originale degli alpini, ridotta però ad un moncone di ferro, spesso nascosto fra le pietre). Gli anelli di metallo sono utili per indicare il percorso (anche perchè senza corda non servono a niente). Dopo una lite con il mio poncho anti-neve che voleva sempre rimanere sotto la pianta dei miei scarponi, siamo sbucati su una passerella di legno un po’ traballante che ci ha portato su uno zig-zag piuttosto verticale che arriva poco sotto la cima, ai resti degli accampamenti italiani della Prima Guerra, con tanto di grotte ancora agibili e piene di resti di ogni tipo. Le guglie rocciose che ci sovrastavano minacciose durante la salita, sono ora molto più in basso, esili dita levate al cielo. La Sella Popena con i ruderi dell’ex rifugio è un piccolo punto sull’enorme gibbo verde del Popena Basso. C’è una coppia di austriaci con uno zainetto solo, appena scesi dalla vetta. Si dileguano come ombre e non li rivedremo più durante tutta la nostra discesa, quasi fossero spariti nel nulla.
Solo un altro piccolo sforzo ascensionale e siamo in cima anche noi, appollaiati su un paio di massi non molto comodi e piuttosto a strapiombo. Siamo sulla cima di quel pezzo di mondo: più alti, dietro di noi, solo il Cristallo (con l’omonimo Passo che sembra di poter raggiungere con un balzo) ed il Piz Popena.
Nella discesa cerchiamo di non far cadere sassi, per evitare danni ai nostri predecessori austriaci, dei quali però non c’è traccia. Comunque tutto fila liscio come l’olio. Alla base del monte, prendiamo il sentiero per la Valle del Popena che ci porta ad incrociare la strada che viene da Carbonin. Dopo poco più di due chilometri, mezzo asfissiati dai gas di scarico dei camper, arriviamo all’auto lasciata in sosta la mattina.
Oggi è stata una grande giornata: cominciata bene, con la scoperta di un personaggio legato ai miei ricordi di famiglia che non immaginavo di incontrare. Il gestore del negozio Lavaredo Sport a Misurina, in cui sono entrato per caso, è Giovanni Pais Becher, guida alpina e grande alpinista, che avevo visto anni fa in alcuni documentari televisivi in cui, insieme al mio concittadino Gastone Lorenzini, scalava cime per il mondo: mio padre dava voce alla loro narrazione. E’ stato un bel modo per ricordarlo.

Note tecniche:
partenza dal Lago di Misurina : quota 1745 metri; sentiero n. 224 dall’Ufficio Postale.
Sosta intermedia a Sella Popena (ex Rifugio Popena): quota 2200 metri: Val delle Baracche.
Inizio scalata parete Sud-Est: quota 2080 metri;
arrivo in vetta a quota 2775 metri: tempo intermedio salita 4 ore, 40 min;
discesa e ritorno per la Val Popena Alta fino alla strada Carbonin-Misurina e ritorno nei pressi del bivio per le Tre Cime: tempo intermedio 3 ore, 50 min.
Dislivello totale: 2200 metri.
Tempo totale: 8 ore, 30 min.

martedì 27 luglio 2010

Sentiero ferrato Ivano Dibona (1985 - 2010)

A 3000 metri di altezza ci si arriva con gli impianti di risalita, prima con la seggiovia da Rio Gere al Rifugio Son Forca e poi con la “pittoresca” ovovia fino alla Forcella Staunies. Da lì partono la ferrata Marino Bianchi per la cima del Cristallo ed il sentiero ferrato Ivano Dibona, riadattato da questi nel 1970, sulle vie attrezzate dagli alpini nella prima guerra mondiale.
All’arrivo ci apre la porta del siluro metallico un tizio che sembra Vasco Rossi; traballanti e nauseati dal mal di mare (a queste altezze non me lo sarei aspettato), prendiamo a sinistra una scala di tipo condominiale che ci fa salire sul punto più alto della forcella, con vista sui fianchi opposti della montagna, e da lì una scaletta a pioli che ci porta sulla cresta rocciosa, come il dorso di un enorme cammello pietrificato. Qui le corde sono nuove, tese e fissate a paletti metallici ben cementati e stabili. Non la ricordavo così.
Venticinque anni fa, un cordino legato a doppio in vita, con un moschettone all’altro capo, era tutto ciò che mi assicurava al cavo metallico nero e a volte un po’ sfilacciato che contornava i punti più impervi della via. Oggi indosso un imbracatura da scalatore con incrocio alle cosce, doppio moschettone, dispersore ed un caschetto leggero. I paragoni sono scontati. Sul ponte del “cliffhanger” lungo circa 30 metri, mi pare di volare leggero e lo supero in quattro balzi. Lo ricordavo più oscillante ed insicuro, con traversine sciupacchiate qua e là. Meglio così, qui ci vengono anche i bambini.
Più avanti si inizia a scendere verso i primi ruderi degli appostamenti militari: Luigi si ferma a bere sul primo lembo di neve che contorna la forcella del Padeon, sotto un sole limpido che brucia sulla pelle scoperta del volto e del collo.
Gli alpini avevano fatto queste casette con cemento e laterizi portati quassù a chissà quale prezzo (loro non avevano la funivia) sotto il tiro nemico. Rimangono ancora in piedi dopo cent’anni di abbandono e di incuria, esposte alle rigide condizioni climatiche di queste altezze. I nostri soldati, anche se peggio organizzati e riforniti, erano dei grandi uomini e sapevano fare queste cose così bene, che nonostante tutto li avrebbero fatti diventare vincenti. Tuttora il ricovero Buffa di Perrero è lì per ospitare nella stagione estiva gli escursionisti in cerca di un riparo.
Proviamo a fare delle foto, sperando che il contrasto forte dato dal sole sulle rocce non sia capace di alterarle troppo. La prima volta avevamo preso delle pellicole 400 ASA per rendere migliore lo sviluppo. Anche qui è cambiata la forma (ed il peso) della nostra attrezzatura, così come le scarpe che calzo oggi, circa 3 chili meno di quei rocciatori in crosta che mi tiravo dietro.
Ad un tratto si apre uno scorcio sulla vallata sottostante, con tutta Cortina raccolta attorno al campanile del duomo, allungata sulla Statale 51 Alemagna. Le punte del Pomagagnon, immense da sotto il campeggio di Fiames, sembrano collinette rocciose che ci impediscono di localizzare la roulotte che ci ospita, vicina al fiume Boite: tutto è così piccolo e lontano che sembra di osservare un plastico architettonico.
Si succedono passaggi su cenge piuttosto sicure e larghe, anche se in qualche punto desidererei avere la possibilità di agganciare i miei moschettoni al cavo che non c’è. Più procediamo e più troviamo vecchi chiodi a sostenere la corda, più piccola e scura, a volte rotta, a testimonianza di una manutenzione non proprio perfetta.
Finché si arriva alla Forcella Grande, da cui si deve scendere verso un ripido e infido ghiaione detritico, capace di farti sollevare enormi nubi di polvere rossastra, come se si fosse nello sterro di un cantiere edile, che entra nel naso e fa tossire. Un segnale recente intima l’alt e ci obbliga a deviare per una cresta rocciosa che scende ripida e talora incassata tra rocce appuntite e scivolose.
Arriviamo ai primi pini mughi e ci stendiamo esausti alla loro ombra, così riesco ad incollarmi zaino e pantaloni di resina. Poco oltre, il rumore di una sorgente nella roccia ci richiama, come beduini nel deserto, ad abbeverarci a quella fonte pura e freschissima.
Si risale nel bosco al Rifugio Son Forca, non prima di aver incontrato due colleghi tedeschi, molto più giovani di noi, che in un inglese maccheronico tanto quanto il nostro, ci fanno i complimenti per la pulizia del nostro abbigliamento, oltre che a chiederci l’orario di chiusura della seggiovia. Quando dico loro che ero stato qui già venticinque anni fa, sembrano non rendersi più conto con chi stanno parlando: allora li rincuoro dicendo loro che sono giovani e forti. Credevano fossimo due alpinisti professionisti. Magari ... !

martedì 1 giugno 2010

Rondinaio, again

Sul Rondinaio dopo più di venti anni. Ci sei tornato lassù in una mattinata tersa, con qualche nuvola grigia, ma ormai di una primavera inoltrata. Si vedeva bene fino alla catena delle vicine Apuane, o più ad est verso il Cimone, come in un abbraccio verde ancora macchiato da qualche residuo di neve. Il sentiero è ancora quello di un tempo, con alcuni punti scoscesi che richiedono tutta l’attenzione possibile per non commettere errori fatali.
In vetta c’è una grande croce lignea, che per te è una novità, con una piccola scatola metallica, come sulle cime che si rispettano, in cui si trova un foglietto per le firme e qualche penna biro al limite minimo dell’inchiostro. Il rito dell’autografo dà la stessa soddisfazione di quello eseguito su montagne più famose ed elevate. In fondo, così come si presenta oggi, è come se fosse una prima assoluta. L’altra volta, avvolto in una fitta coltre di nebbia, neanche ti sembrava di essere arrivato in cima.
Adesso è diverso, lo vedi da ciò che ti circonda. Solo il suolo che calpesti ti sembra sia lo stesso di allora, sassoso e friabile. E’ l’andare a piedi, questo modo di muoversi lento, contrario a tutta la maniera di vivere oggi che è frettolosa, brusca, vorace. Non ti fa assaporare niente; per fortuna che più di quattro lustri fa, partisti con due amici, in braghe di tela e ciabatte, per andare al mare; però sei venuto quassù, ad iniziare questo rito di cui ormai sei diventato un adepto. Ora sei puro, hai fatto il pieno di energia… avanti, la vita ti aspetta !

lunedì 4 gennaio 2010

Ti spegne-Rai

Oggi nel Tg 2 della Rai delle 13.00, hanno mandato in onda un servizio sui morti "famosi" del 2009... tra gli altri hanno citato anche Achille Compagnoni, "conquistatore" del K2 nel 1954, senza ricordare neanche per caso Lino Lacedelli che fu il primo a salire su quella vetta (insieme a Compagnoni), anche lui deceduto nel novembre scorso. E già che c'erano hanno dimenticato anche Riccardo Cassin, morto in agosto. Forse il redattore era ferrato soltanto sui cantanti... ho scritto una mail di protesta al sito del Tg2, ma l'hanno subito censurata... e poi mi mandano solerti il bollettino per pagare il canone! Quasi quasi mi verrebbe voglia di dimenticarlo per sempre (come fanno loro nei servizi).