martedì 27 luglio 2010

Sentiero ferrato Ivano Dibona (1985 - 2010)

A 3000 metri di altezza ci si arriva con gli impianti di risalita, prima con la seggiovia da Rio Gere al Rifugio Son Forca e poi con la “pittoresca” ovovia fino alla Forcella Staunies. Da lì partono la ferrata Marino Bianchi per la cima del Cristallo ed il sentiero ferrato Ivano Dibona, riadattato da questi nel 1970, sulle vie attrezzate dagli alpini nella prima guerra mondiale.
All’arrivo ci apre la porta del siluro metallico un tizio che sembra Vasco Rossi; traballanti e nauseati dal mal di mare (a queste altezze non me lo sarei aspettato), prendiamo a sinistra una scala di tipo condominiale che ci fa salire sul punto più alto della forcella, con vista sui fianchi opposti della montagna, e da lì una scaletta a pioli che ci porta sulla cresta rocciosa, come il dorso di un enorme cammello pietrificato. Qui le corde sono nuove, tese e fissate a paletti metallici ben cementati e stabili. Non la ricordavo così.
Venticinque anni fa, un cordino legato a doppio in vita, con un moschettone all’altro capo, era tutto ciò che mi assicurava al cavo metallico nero e a volte un po’ sfilacciato che contornava i punti più impervi della via. Oggi indosso un imbracatura da scalatore con incrocio alle cosce, doppio moschettone, dispersore ed un caschetto leggero. I paragoni sono scontati. Sul ponte del “cliffhanger” lungo circa 30 metri, mi pare di volare leggero e lo supero in quattro balzi. Lo ricordavo più oscillante ed insicuro, con traversine sciupacchiate qua e là. Meglio così, qui ci vengono anche i bambini.
Più avanti si inizia a scendere verso i primi ruderi degli appostamenti militari: Luigi si ferma a bere sul primo lembo di neve che contorna la forcella del Padeon, sotto un sole limpido che brucia sulla pelle scoperta del volto e del collo.
Gli alpini avevano fatto queste casette con cemento e laterizi portati quassù a chissà quale prezzo (loro non avevano la funivia) sotto il tiro nemico. Rimangono ancora in piedi dopo cent’anni di abbandono e di incuria, esposte alle rigide condizioni climatiche di queste altezze. I nostri soldati, anche se peggio organizzati e riforniti, erano dei grandi uomini e sapevano fare queste cose così bene, che nonostante tutto li avrebbero fatti diventare vincenti. Tuttora il ricovero Buffa di Perrero è lì per ospitare nella stagione estiva gli escursionisti in cerca di un riparo.
Proviamo a fare delle foto, sperando che il contrasto forte dato dal sole sulle rocce non sia capace di alterarle troppo. La prima volta avevamo preso delle pellicole 400 ASA per rendere migliore lo sviluppo. Anche qui è cambiata la forma (ed il peso) della nostra attrezzatura, così come le scarpe che calzo oggi, circa 3 chili meno di quei rocciatori in crosta che mi tiravo dietro.
Ad un tratto si apre uno scorcio sulla vallata sottostante, con tutta Cortina raccolta attorno al campanile del duomo, allungata sulla Statale 51 Alemagna. Le punte del Pomagagnon, immense da sotto il campeggio di Fiames, sembrano collinette rocciose che ci impediscono di localizzare la roulotte che ci ospita, vicina al fiume Boite: tutto è così piccolo e lontano che sembra di osservare un plastico architettonico.
Si succedono passaggi su cenge piuttosto sicure e larghe, anche se in qualche punto desidererei avere la possibilità di agganciare i miei moschettoni al cavo che non c’è. Più procediamo e più troviamo vecchi chiodi a sostenere la corda, più piccola e scura, a volte rotta, a testimonianza di una manutenzione non proprio perfetta.
Finché si arriva alla Forcella Grande, da cui si deve scendere verso un ripido e infido ghiaione detritico, capace di farti sollevare enormi nubi di polvere rossastra, come se si fosse nello sterro di un cantiere edile, che entra nel naso e fa tossire. Un segnale recente intima l’alt e ci obbliga a deviare per una cresta rocciosa che scende ripida e talora incassata tra rocce appuntite e scivolose.
Arriviamo ai primi pini mughi e ci stendiamo esausti alla loro ombra, così riesco ad incollarmi zaino e pantaloni di resina. Poco oltre, il rumore di una sorgente nella roccia ci richiama, come beduini nel deserto, ad abbeverarci a quella fonte pura e freschissima.
Si risale nel bosco al Rifugio Son Forca, non prima di aver incontrato due colleghi tedeschi, molto più giovani di noi, che in un inglese maccheronico tanto quanto il nostro, ci fanno i complimenti per la pulizia del nostro abbigliamento, oltre che a chiederci l’orario di chiusura della seggiovia. Quando dico loro che ero stato qui già venticinque anni fa, sembrano non rendersi più conto con chi stanno parlando: allora li rincuoro dicendo loro che sono giovani e forti. Credevano fossimo due alpinisti professionisti. Magari ... !

Nessun commento:

Posta un commento